O forse sarebbe meglio dire “al falò” che forse è un po’ meno doloroso.

falò

Chi non ha mai sognato, durante una bella serata d’estate, mentre scende la notte e soffia una leggera brezza, di stare con gli amici a scaldarsi intorno ad un fuoco mentre, secondo le parole di una famosa canzone della PFM

una chitarra brucia amore più di un falò?

Ecco, la prima premessa è: io no.

Come seconda premessa (e qui mi dispiace dover distruggere tutti i vostri sogni) devo dirvi che questa cosa della chitarra ai falò è una bufala colossale, un bidone assoluto, è una cosa che può esistere solo nei film!

Ebbene sì, lo ammetto, sono cattivissimo. Lo so che avreste voluto crederci ancora un po’, ma questa è la dura realtà.
E’ uno sporco lavoro, ma qualcuno ve lo doveva pur dire.

Chiariamo: se tutti i vostri amici amano il vostro stesso genere e magari sono musicisti o cantanti, potrebbe anche succedere di combinare qualcosa di buono.
La vita vera, però, è molto più crudele; il vantaggio è che il chitarrista che riesce a sopravvivere ad un falò reale (più di uno sarebbe meglio, è un addestramento migliore) può venire in possesso di superpoteri che non sarebbero acquisibili altrimenti.
Come disse Friedrich Wilhelm Nietzsche:

Quello che non mi uccide, mi fortifica.

Giusto per chiarire, non sto parlando del fatto che al falò non riuscirete mai a suonare il vostro pezzo preferito, che dovrete scordarvi tutte le intro fichissime che conoscete e che non potrete fare “wish you were here” senza che qualcuno vi interrompa prima della prima strofa: queste cose ormai sono assodate e, semmai, rappresentano un incubo solo per il chitarrista.
I veri motivi per cui il falò che tanti sognano non esiste è dovuto a questi (pochi, ma determinanti) elementi:

  1. la teoria di Einstein sulla relatività dell’intonazione
  2. Sant’Agostino e il problema del tempo
  3. il Sergente Maggiore Hartman e le canzoni che sappiamo tutti
  4. l’arte della guerra di Sun Tzu e la conoscenza del nemico

Vediamoli uno ad uno:

la teoria di Einstein sulla relatività dell’intonazione

Può succedere che in una compagnia qualcuno sia stonato. Capita, niente di male, di solito viene individuato facilmente da tutti, i quali (tutti) lo sanno, non lo ascoltano e sono felici e contenti, non è questo il problema. Il problema è il cantore che canta spostando continuamente la melodia e, ovviamente, facendolo con tanta convinzione da tirarsi dietro tutti gli altri.

Albert EinsteinDi solito succede questo, inizia una strofa, più o meno funziona, si inizia alla grande; poi si va sul ritornello che, normalmente, è un po’ diverso dalla strofa. A quel punto succede il danno: alla strofa successiva, invece di iniziare dalla nota iniziale (come era venuto tanto bene giusto un minuto fa) si cambia, così, “tanto per”. Che ne so, magari si ricomincia partendo dall’ultima nota del ritornello, o scendendo o salendo di tot (tot assolutamente casuale). A quel punto la tonalità va a farsi benedire.
Il chitarrista ancora acerbo in queste situazioni annaspa, cerca qualche sguardo amico, di solito si interrompe e dice che sul canzoniere forse ci sono gli accordi sbagliati, oppure, visto che il falò è lontano e il suo libro con gli accordi è in ombra, dà la colpa alla scarsa visibilità (questa scusa perde di efficacia se invece del falò ci si ritrova al parco nel pomeriggio, situazione che, pur non essendo classificabile come falò – ovviamente – presenta all’incirca le stesse dinamiche).

Il chitarrista più sgamato, invece, può disporre di due tecniche segrete (che però ora vi svelerò) per ovviare all’inconveniente:
la prima, semplicemente, è quella di cambiare tonalità al volo (ma questa è roba da cintura nera di chitarra, roba tosta);
la seconda invece prevede di continuare la ritmica suonando accordi stoppati (per i non addetti, invece di sentire sdelen sdelen e l’armonia sotto che cambia, si sente un ciacca ciacca con il suono smorzato ma perfettamente a tempo). Su come riprendere poi a suonare accordi, però, si può solo confidare sul lampo di genio oppure passare al volo a suonare il finale del pezzo.
Se il pezzo è un lento, con un bellissimo arpeggio che va avanti dall’inizio alla fine, non c’è niente da fare, fate finta di starnutire e gettate il plettro nel fuoco per prendere tempo.
Se stavate arpeggiando con le dita invece siete dei masochisti, è il modo migliore per avere un volume così basso da essere coperti da qualunque zanzara stonata, fate meno i bulli e imparate ad arpeggiare con il plettro.
(ovviamente, se oltre a suonare la chitarra sapete anche cantare questo problema è facilmente superabile).

Sant’Agostino e il problema del tempo

Sant'AgostinoQuesto un problema un po’ più serio del precedente. Non chiedetemi da cosa abbia origine; mentre posso capire la relatività di Einstein vista sopra, non riuscirò mai a spiegarmi l’oscuro fenomeno secondo cui alcune persone, quando cantano, eliminano ogni pausa tra una frase e l’altra.
Farò un esempio con una canzone che sanno tutti (è un anticipazione sul terzo punto, ma è giusto per farmi capire):

le bionde trecce gli occhi azzurri e poi, (pausa)
le tue calzette rosse, (pausa)
e l’innocenza sulle gote tue, (pausa)
due arance ancor più rosse (pausa, eccetera eccetera).

Ecco, le persone afflitte da questo grave problema la cantano così:

le bionde trecce gli occhi azzurri e poi le tue calzette rosse e l’innocenza sulle gote tue due arance ancor più rosse (continuare sulla stessa riga fino alla fine del testo).

Qui è un delirio, non c’è ciacca ciacca che tenga, il pezzo viene che è una vergogna.
C’è una forma parziale di questo disturbo (che è ancora peggio) nella quale la sparizione delle pause si verifica giusto prima dei ritornelli o dei momenti più intensi del pezzo, distruggendo tutto il pathos che faticosamente si è creato.

Per sopravvivere a questo sfacelo ed evolversi ulteriormente il chitarrista deve acquisire questa volta due poteri molto precisi: lo sguardo fulminante e la mano di granito.
Lo sguardo fulminante serve ad annichilire il fuori-tempista. La mano di granito serve a far sentire in modo inequivocabile che sta succedendo altro rispetto a quello che l’imputato sta facendo.
In questo caso, il saper cantare inizia ad essere non più un optional ma un grosso aiuto, però i più temerari possono farcela ancora solo suonando.

il Sergente Maggiore Hartman e le canzoni che sappiamo tutti

Attenzione: questa problematica non è superabile se non si sono acquisiti i superpoteri del punto precedente. Questo perché è necessario avere un’autorevolezza non banale, che bisognerà essere in grado di esercitare senza l’uso della mano di granito e senza il ciacca ciacca.

il Sergente Maggiore HartmanVediamo di cosa sto parlando:
ok, il falò sta prendendo piede, avete deciso di evitare di ammorbare tutti con gli arrangiamenti post-industrial di quelle canzoni assurde che conoscete solo voi, avete iniziato con il meglio del repertorio faloistico nazionale ed internazionale (per modo di dire, però se siete al quinto pezzo e siete riusciti ancora ad evitare Vasco, Ligabue e Battisti siete dei grandi), la gente è contenta e (quasi) tutti cantano. Qualcuno vi sta facendo i complimenti.
A questo punto arriva il fricchettone della situazione che esordisce con la richiesta più insulsa, antipatica e assurda del pianeta:

ehi, perché non fai qualcosa che sappiamo tutti?

… (pausa)

… (altra pausa)

… (ok, andiamo avanti)

Digressione: esistono delle persone che, crescendo, non escono mai dalla fase narcisistica della propria vita. In altre parole, non pensano mai che persone diverse abbiano vissuto esperienze diverse, visto e udito cose diverse, e che quindi vivano in realtà diverse (ne ho parlato – per iscritto – qui); volendo scendere terra terra, se costoro guardano tutti i giorni, che ne so, il liscio in tv su Piazza Italia, per loro è scontato che tutto il mondo faccia lo stesso. Dirò di più, ti guardano con aria di sufficienza se tu affermi di non farlo.

In definitiva, il vero significato di “perché non fai qualcosa che sappiamo tutti?” è:
“scusate, non so neanche una canzone, vorrei ne faceste una anche per me ma non voglio fare la figura di quello che sa solo quattro canzoni dell’anteguerra quindi cerco di scaricare tutta la mia frustrazione sul disgraziato che in questo momento sta suonando la chitarra”.

Il primo passo a questo punto, visto che non esiste qualcosa che sanno tutti (giusto per chiarire, il testo delle bionde trecce poco sopra ho dovuto cercarlo con google perché non me lo ricordavo) è far vacillare l’accusante dalla sua posizione chiedendogli di fare un’esempio di quali sarebbero le canzoni che sanno tutti.

Avuta l’informazione, se non sapete queste canzoni (o se reputate che non sia il caso di suonarle, vedi in seguito) o riuscite a gestire simpaticamente la cosa, altrimenti la strategia più efficace (efficace perché, come detto prima, il richiedente in realtà non ha idee musicali molto solide) è quella del Sergente Maggiore Hartman;
tale strategia (evoluzione dello sguardo fulminante) prevede di assumere una cattivissima faccia da guerra e dare risposte spiazzanti di questo tipo:

una canzone di Pippo? Ma sei matto? E’ una menata assurda con la chitarra!

una canzone di Topolino? Ma sei fuori? E a mezzogiorno? Topi morti?

Paperino? Mai sentito, si mangia? (e subito iniziare un altro pezzo)

Se dopo un po’ il losco individuo si azzarderà a fare un’altra richiesta, zittirlo con:

sì ma sei sicuro che è la radio quella che ascolti te o a casa tua ascolti il rumore del frullatore?

normalmente non si arriva ad una terza richiesta. L’ideale, se il tizio a questo punto non decide di gonfiarci di botte, è di segnarsi i brani richiesti per non farci cogliere impreparati la volta successiva. Nel dubbio, prima di attuare la strategia, valutate rapidamente il livello alcolico del figuro in questione.

(Ovviamente le frasi esemplificative riportate poco sopra sono la versione edulcorata di quello che la tecnica del Sergente Maggiore Hartman imporrebbe, lascio agli estimatori del personaggio immaginare le frasi reali.)

incendio

falò finito male

Ho scritto poco sopra, tra le condizioni sufficienti per attuare la strategia del Sergente Maggiore Hartman, il fatto che voi reputiate le sue richieste indegne di essere accolte.

Questo è un fatto importantissimo!

Esempio:
serata falò all’insegna di canzoni di Giorgio Gaber, Elio e le storie tese, Cochi e Renato; tutti felici e contenti che si divertono, il fricchettone vi chiede “la locomotiva” di Guccini. Ecco, per quanto sia un pezzo meraviglioso, splendido e storico, state attenti che se accontentate lui correte il rischio di scontentare tutti gli altri.
Oppure, falò di Ligabue, Modà, Mengoni, arriva la volpe che vi chiede “vecchio scarpone”. Voi commettete l’errore di accontentarlo e a questo punto il fricchettone, convinto di aver trovato un valido alleato contro la sua solitudine, vi costringe a suonare tutto il repertorio degli anni che furono. Certo, lui vi amerà per sempre, ma intanto tutti gli altri si saranno gettati tra le fiamme.

Quindi, ricordatevi che, fintanto che siete voi al timone (alias chitarra) sarà vostra la responsabilità del repertorio. Se le cose vanno male, voi vi ricorderete del fricchettone, gli altri si ricorderanno di voi.

l’arte della guerra di Sun Tzu e la conoscenza del nemico

armatura da samuraiEcco, siamo arrivati al punto più tosto: avete superato indenni i livelli inferiori, avete acquisito tutte le capacità del supereroe da falò, avete le mani che sembrano due badili, una voce stentorea, lo sguardo della belva, conoscete un milione di canzoni a memoria (per cui potreste andare avanti anche a falò spento) quando, improvvisamente, arriva lui, il nemico numero uno, il terrore del chitarrista da falò: il ragazzotto con i bonghetti.

Precisiamo, non sto parlando di un giovane percussionista, quello sarebbe come la manna dal cielo; il ragazzotto con i bonghetti non ha nulla del musicista. Di solito si presenta con una percussione a caso (bonghi, congas, djembe, darbuka) ignorandone assolutamente il nome (per lui sono tutti bonghi).
Qualunque cosa facciate, si limiterà a fare cose a caso assolutamente fuori luogo sfoggiando la sua faccia da pseudo-intellettuale radical chic alternativo.
Per quanto le cose possano complicarsi, per quanto vi ritroviate a fare pezzi impossibili, lui ne uscirà sempre indenne facendo i suoi rumori a caso (ma a tempo) assolutamente incurante dell’evoluzione del pezzo. Il peggio è quando invece dei bonghetti propriamente detti arriva con un gigantesco djembe il cui volume surclasserà qualunque mano di granito.
Se poi costui assume anche il ruolo del fricchettone che chiede “perché non fai qualcosa che sappiamo tutti?” è veramente la fine.

Lo ammetto, con tutta la buona volontà non so dare un consiglio valido per questa incresciosa situazione. Conosco chitarristi che vanno ai falò con l’amplificatore a batteria per avere un volume più alto del famigerato ragazzotto, altri che formano piccole squadriglie di cinque o sei chitarristi confidando sulla forza del gruppo. Niente da fare, il “tuc tuc tà” del ragazzotto ne uscirà sempre vittorioso.

Penso che qui non sia più questione di essere supereroi.

Qui è necessario essere cavalieri Jedi.

So di qualcuno che dopo una lunga lotta ha deciso di passare al lato oscuro della forza.

Io ho risolto lasciando a casa la chitarra e comprando due bonghetti e tre djembe.