E finalmente, come promesso ormai l’anno scorso, ecco qui la mia prima recensione (la prima che appare in queste pagine, non la prima mai scritta in vita mia).
E cosa c’è di meglio per cominciare se non parlare di un disco storico, di cui è già stato scritto tutto e il contrario di tutto? Sicuramente un sacco di cose, ma oggi vi voglio parlare proprio di questo.
Il disco in oggetto si intitola Ambient 1: Music for Airports, ed è stato pubblicato nel 1978 (grande anno) da Brian Eno.

valigie

Diciamo la verità, di questo disco negli anni sono state fatte milioni di recensioni. Io stesso prima di acquistarlo (ebbene sì, esistono individui che acquistano dischi) ne ho lette parecchie. Se scandagliate il web, vi imbatterete in un sacco di articoli che parlano della nascita della musica ambient, dell’intuizione di Brian Eno, di cosa era la musica muzak e in cosa si differenzia l’ambient da quest’ultima.

Visto però che i motori di ricerca li sanno usare un po’ tutti (balla colossale) e che non ho voglia di fare copia & incolla già nella prima recensione, affronterò il disco in questione in modo diverso, ossia:

storia e vicissitudini dell’incontro tra Franco e Ambient 1 di Brian Eno

Le origini:

Paul David Hewson

questo non è Brian Eno

Incontrai la prima volta il nome di Brian Eno in un articolo sugli U2. Band leggendaria, sicuramente, ma della quale onestamente non mi importava molto e per la quale, all’epoca, non nutrivo nemmeno una grande considerazione.
In questo articolo si lodava il grande apporto di Eno nell’album The Joshua Tree (all’epoca ne avevo una copia in cassetta avuta in prestito da non ricordo chi) e si illustrava in che modo avesse rinnovato il sound degli U2. Io, che non avevo ancora la più pallida idea di che sound avessero gli U2 senza Brian Eno (era l’unica cassetta che avevo del gruppo, e YouTube una volta non esisteva) fui molto colpito da come era scritto l’articolo (molto più che dalla cassetta stessa, di cui apprezzai forse solo le prime 3 canzoni) e decisi di cercare altre cose su questo misterioso personaggio.

Scoprii quindi che costui si definiva un non-musicista, che nella vita aveva avuto un sacco di idee fichissime (tipo le strategie oblique) e che aveva collaborato con un sacco di gente. Visto che però, come ho detto prima, YouTube non esisteva e che trovare i suoi dischi nella ridente provincia di Lodi era più difficile che baciarsi il gomito, per parecchio tempo nella mia testa il nome di Brian Eno rimase più legato al suo personaggio che non alla sua musica.

Il secondo incontro:

stazione ferroviaria

questo non è un aeroporto

Passarono gli anni. Le musicassette erano (finalmente) un ricordo lontano. Purtroppo anche YouTube era ancora lontano. All’epoca ascoltavo i King Crimson che, per fortuna, erano relativamente facili da trovare nei negozi (facili per modo di dire, diciamo che era possibile).
Ovviamente, non si possono ascoltare i King Crimson senza rimanere catturati dalle idee del chitarrista Robert Fripp. E così, approfondendo la storia di quest’altro tizio, inciampai di nuovo nel famigerato Brian Eno.

Caspita, ancora costui!

E così, a partire da Fripp, mi ritrovai ancora a rileggermi le grandi imprese di questo Eno di cui però, purtroppo, continuavo a non trovare niente in giro…

Insomma, la curiosità era tanta! E poi sempre, in ogni biografia, si finiva a parlare di questo album Ambient 1 che era stato il capostipite di un intero genere ma che nessuno di mia conoscenza aveva mai sentito!

L’incontro inatteso:

All work and no play makes Franco a dull boy.

questo non è un negozio di elettronica

passò ancora nel tempo. Quando arrivò YouTube avevo in mente di tutto tranne che Brian Eno, per questo non mi venne mai in mente di andarlo a cercare.
In compenso, mentre un giorno passeggiavo allegramente in un grande negozio di elettronica nel centro commerciale di Assago, improvvisamente lo vidi!
Incredibile!
Ma allora esisteva veramente!
Ambient 1 di Brian Eno!

Ci pensai un attimo. Forse anche due.

Ma insomma, cercate di capirmi, non potevo lasciarlo lì!

E così finalmente, arriviamo al punto topico di questo post, e cioè

il primo ascolto e (finalmente) la recensione:

Prima traccia:

Plin…

Plin…
(pausa)

Plinnnnnnn…

(pausa)

Plinnn…

(pausa)

Plin…

Plin…

(eccetera)

Seconda traccia:

Aaah…

Aaah…
(pausa)

Aaaaaaaaah…

(pausa)

Aaaah…

(pausa)

Aaah…

Aaah…

(eccetera)

Terza traccia:

Plin…

Aaah…
(pausa)

Plinnnnnnn…

(pausa)

Aaaah…

(pausa)

Plin…

Aaah…

(eccetera)

Quarta traccia

(questa sarà comprensibile solo a me: lunghissimi marshmallow giallo-rosa che si intrecciano senza toccarsi)…

(eccetera)

Al termine dell’ascolto pensai che se non altro il cd funzionava.
Sicuramente ero rimasto senza parole, anche se non come mi sarei aspettato.

Pensai che anche altre volte non avevo compreso la grandezza di alcuni album se non parecchio tempo dopo… Insomma, era successo per il primo album dei King Crimson e per i dischi bianchi di Battisti… Forse questo era un caso simile.

Insomma, riposi silenziosamente il cd nella custodia riflettendo su quanto fosse importante il concetto (l’idea di ambient, l’uso del tape loop) rispetto al resto.

Poi ripensai al Plin Plin che aveva accompagnato l’ultima mezz’ora della mia vita e decisi di lasciar perdere.

La riscoperta (e la conclusione della recensione):

Non ho mai risolto l’enigma che lega il concetto al risultato; non ho mai capito, tolto il fascino che può esercitare l’idea in se stessa, dove stia la bellezza di questo disco.
Di fatto, oggi considero questo album uno dei miei preferiti, dal punto di vista emotivo, razionale ed irrazionale.

In seguito ho acquistato tutti gli altri dischi della serie Ambient di Brian Eno, uno più bello dell’altro, forse più “facili” (soprattutto il 2 e il 4) ma ancora non sono sicuro di aver capito.

Non che non abbia capito la grandezza di Brian Eno, quella è evidente. Non ho proprio capito perché questo disco mi piace.

Pazienza, non si può capire tutto.