Mên-an-TolSento tante persone dire “io sono uno…”
io sono uno che pensa quello…
io sono uno che fa questo…
io sono uno di quelli che…

Perché questo bisogno? Devo anteporre un modello esterno quando mi presento? “Piacere, Franco, se vuoi capire chi sono puoi incasellarmi nel tuo stereotipo di coloro i quali…”

Già sento qualcuno rispondere “ah, ora capisco tutto di te. Tu sei uno di quei classici tipi che…”.

Io non sono uno che pensa… Io penso!
Io non sono uno che fa… Io faccio!
Io non sono uno di quelli

Uno che fa questo… Uno che pensa quello… Uno di quelli che
Modelli statici, immutabili ed eterni a cui cercare di assomigliare, abdicando dalla propria responsabilità di fare, pensare, essere.

Modelli incuranti di ogni evoluzione dell’essere, cristallizzati nel tempo come belle foto sbiadite, gentiluomini vittoriani sempre uguali a se stessi e incuranti del fatto che la vita è divenire, trasformarsi, mutare.

Io non sono uno… Io faccio, io penso, io amo, io dico, io sbaglio, io scrivo, io vaneggio, io ritratto, io chiedo scusa, io cambio idea, io vivo!

Ma che sto facendo? Giudico forse una persona da come si esprime? Non sono in grado di cogliere la differenza tra un uomo e la sua voce, tra quello che è e quello che dice?
Ma io non giudico la persona, discuto la forma, e dico che la forma è sostanza e che quello che pensi non prescinde da quello che dici.

Io non sono uno che a volte sbaglia.
Io a volte sbaglio!
Abbiamo il coraggio delle nostre azioni!

Ma io dico che anche tu puoi non essere uno, se vuoi!

Basta poco per iniziare a cambiare la mente, basta cambiare una parola e si può dare inizio a una rivoluzione.

Se vuoi.

Se invece sei uno di quelli che non vuole…