L’ingresso dell’inferno era situato in fondo alla strada, sotto le impalcature dei muratori. Difficile a vedersi eppure così facile da raggiungere.

E così, un po’ per gioco un po’ per sfida, i due giovani avevano deciso di entrare.
Era quasi l’ora di cena e in giro non c’era nessuno. Il ragazzo fece strada, aprì la vecchia porta di legno ed entrò. La ragazza lo seguì.

L’inferno si presentava come un grosso magazzino estremamente pulito e ordinato.

Calve teste di demoni sfrecciavano veloci senza sosta lungo i corridoi creati dalle scaffalature metalliche.

Stando bene attenti a non farsi da loro vedere, i due ragazzi raggiunsero una delle sale dei dannati, dove migliaia di uomini e donne spostavano minuscole scatolette contenenti cose inutili.

I ragazzi si fermarono ad osservarli. Non una voce si udiva nella stanza, non uno sguardo si alzava da terra.

Così numerosi eppure cosi soli, ognuno chiuso in se stesso e preso dalla propria routine, i dannati parevano incuranti del fatto che il proprio lavoro venisse sistematicamente vanificato da quello degli altri, impegnati a loro volta a spostare le stesse scatole e a riporle nel luogo dove si trovavano inizialmente.

Ad una delle anime cadde una scatola, e gli inutili oggetti contenuti in essa si sparsero sul pavimento.

Istintivamente la ragazza si chinò in suo aiuto e, riempita nuovamente la scatola, gliela porse.

Ma lo sguardo dell’anima dannata rimase vitreo, e nessun segno di ringraziamento apparve sul suo volto, solo la freddezza e l’indifferenza che continuavano imperterriti a dominare la scena.

I ragazzi si allontanarono, non c’era nulla di interessante da fare, nessun insegnamento da cogliere.

Poco distante, alla portata di tutti ma semplicemente ignorata, una porta recava la scritta “uscita”.
I ragazzi la oltrepassarono.

La stanza al di là della porta era molto diversa dal resto dell’inferno, e realizzata interamente di mattoni.
Sulla parete di fronte ai ragazzi un arco a tutto sesto dava su una stradina in salita.

A separarli dal mondo reale, una doppia fila di filo spinato situata a una trentina centimetri da terra.
Stupendosi dell’illogicità della barriera, come di tutto l’inferno del resto, il ragazzo fece un lungo passo e la superò.

Fu proprio in quel momento che avvertì sulla schiena il tocco gelido dell’inferno da cui era appena fuggito.

Preoccupato ma ormai in salvo, si voltò verso la ragazza.

Immobile, lo sguardo spento verso il basso, si era mossa troppo lentamente, e ormai l’inferno dominava su di lei.
Tra pochi secondi avrebbe riattraversato la porta e sarebbe stata dannata per sempre.

Il ragazzo non ci pensò un momento. Sapeva che tornando indietro avrebbe potuto rimanere anch’egli intrappolato, ma d’altra parte aveva capito che non si poteva sconfiggere l’inferno con il dubbio o la paura.

Scavalcò nuovamente il filo spinato, prese per mano la ragazza e insieme a lei se ne andò.