Un’altra notte di insonnia…
A quanto erano arrivate? Ormai non c’era niente oltre alla luce del sole che potesse creare una minima distinzione tra il giorno e la notte.
Suoni sovrumani, fischi assurdi e rotori di elicottero si alternavano senza sosta nel suo orecchio sinistro. Miraggi auditivi avevano ormai preso il posto della realtà.
Cosa avrebbe fatto se non fossero passati? Le probabilità di guarigione si piazzavano al 50%… Testa o croce, niente di più, niente di meno.

l'urlo
I tremori dati dai farmaci erano poca cosa di fronte alla prospettiva di quello che sarebbe potuto succedere… Sarebbe stato bello riuscire a non pensarci, ma come poteva? Nemmeno il sonno ormai lo veniva a trovare per lenire la sua sofferenza.
E poi dolori, dolori muscolari ovunque.

All’improvviso, una linea verticale attraversò il suo campo visivo.
Si sforzò di metterla a fuoco: una minuscola corda attraversava la stanza. Dietro la sua testa, il cigolio di una carrucola.
Sfregò gli occhi deciso a scacciare quella nuova immagine, ma fu un gesto vano.

Attaccato alla piccola fune, un altrettanto piccolo pacchetto veniva lentamente trasportato verso i suoi piedi.

No dai! Le allucinazioni no!

Il piccolo pacco arrivò a destinazione, e un omuncolo, di certo non più grande di una scarpa, si affrettò ad aprirlo borbottando qualcosa.
Nel frattempo altri pacchetti giunsero nei pressi dei suoi piedi, e altri bizzarri individui iniziarono ad estrarne dei cuscini d’aria di plastica trasparente.

Gli omuncoli, magri e privi di barba, con buffi cappelli e il nasone, erano chiaramente folletti. Provò a chiedersi come mai, tra tutte le cose in cui avrebbe potuto imbattersi in stato alterato di coscienza, si fossero manifestati proprio loro, ma non ne venne a capo. Dopotutto, si disse, meglio i folletti che i dinosauri.

folletto

Improvvisamente uno di loro parlò.

La frase non era rivolta a lui, era chiaro: si trattava di una comunicazione esclusivamente tra folletti e infatti non capì quasi nulla. Quello che gli fu chiaro, però, era che l’idioma che udiva era chiaramente dialetto bergamasco.

Non seppe trattenere una risata.

La moglie, al suo fianco, si destò e gli chiese il motivo della risata. Lui guardò la moglie, il letto invaso dai folletti bergamaschi e trovò la situazione alquanto surreale.
Nel frattempo, grosse gru gialle venivano portate vicino al letto con l’intento di riempire le lenzuola con i cuscini d’aria per permettergli di riposare più comodamente. In fin dei conti, tutti quegli strambi individui stavano dandosi da fare per lui.

Decise che ne aveva già avuto abbastanza di folletti, di gru e tutto quanto, così si alzò e si recò in bagno. Si lavò il viso, perse un po’ di tempo, si guardò più volte allo specchio per assicurarsi di essere tornato in sé e solo allora tornò in camera da letto.

Putiferio e degenerazione!

gru

(…Invece di questo cielo, il suo soffitto…)

Centinaia di folletti urlavano e sbraitavano in bergamasco, il letto risultava ormai inagibile perché interamente occupato dal cantiere, le gru gialle toccavano il soffitto e sua moglie dormiva beatamente ignara di tutto.

Prese atto della persistenza della visione ed andò a sdraiarsi sul divano in sala.

Non fu banale quello che vi trovò: liane colorate scendevano dal soffitto e dalle pareti uscivano radici contorte di improbabili ficus. Provò ad ignorare il tutto e si sdraiò sul divano.

Dal cuscino dietro la sua testa uscì una lunga ed ondulata foglia. La foglia prese la forma di un semicerchio e dal suo apice uscì una microscopica testa verde che iniziò a cantilenare una melodia acutissima e dissonante. Era la fata della foglia che con il suo canto cercava di mitigare i suoi tormenti.

Rimase in balia di tale creatura per interminabili minuti. Poi il suo canto cessò.

Si alzò dal divano, tornò in camera. Sua moglie dormiva beatamente e del cantiere, finalmente, non era rimasta alcuna traccia.
Si sdraiò, saggiò la comodità del letto e decise che in fin dei conti i folletti avevano lavorato per niente.

La notte era ancora lunga…