Lo so, non apparvero mai dal vivo, ne in televisione e nemmeno furono mai trasmessi alla radio (infatti nell’elenco sotto non ci siamo) però il 2005 fu l’anno de “Gli abitanti del pollaio“. “E che ci frega?” direte voi, “non eravate mica i Beatles”!
E sapete che vi rispondo? “E già, avete ragione.”
In origine fu la K.
Una piccola falla nel loro sistema linguistico che avvertirono come un fastidio o poco più, sicuramente non come il presagio di ciò che sarebbe accaduto.
Così, mentre gli occhi inespicavano su tale lettera ed essi venivano distratti da prepotenti frasi scritte in maiuscolo, spietati sicari giustiziavano silenziosamente il congiuntivo.
Da che mondo è mondo, nel mondo della musica si fanno un mondo di cover.
E attenzione, non parlo solo del classico repertorio delle cover band da locale che suonano esclusivamente (o quasi) canzoni altrui. Parlo proprio di gruppi o artisti affermati che, ad un certo momento della loro carriera, hanno eseguito, interpretato, rielaborato brani altrui.
Era una notte buia e tempestosa. Anzi no, a dire il vero nevicava. Stavamo per iniziare a suonare quando la mia chitarra ebbe un malore e svenne. La rialzai subito, purtroppo era ferita ma riuscì comunque a portare a termine la serata. Arrivati a casa le chiesi “ma cosa hai avuto?” Mi rispose che si sentiva male a suonare musica che non le piaceva. Lei era nata per il rock, il blues e io ci suonavo Irene Grandi e Avril Lavigne. Le dissi “ma come? Ma facciamo anche i Nickelback!”; e lei “sì, bella roba fare i Nickelback con il pitch shifter, non senti che schifo di suono che viene fuori?”. Fu così che iniziò il mio periodo di “crisi elettrica”.